Se parlate con un astronomo sentirete spesso la parola magnitudine. La magnitudine è una misura della luminosità degli astri, e quindi una misura della quantità di luce che ci arriva da essi. Con il termine “astro” indicherò qualsiasi corpo naturale presente al di fuori dell’atmosfera terrestre. Non scriverò la definizione, non vi parlerò di logaritmi, ma vi dirò semplicemente perché questa particolare misura della luminosità di un corpo celeste è utile in astrofisica. La quantità di luce che arriva da astri diversi (ad esempio il Sole, la Luna, o una stella) è ovviamente molto diversa, ve ne sarete sicuramente accorti: guardando il Sole vi accecherete, mentre potrete sostenere lo sguardo osservando la Luna. Questa differenza è dovuta sia a differenze di luminosità intrinseca, sia al fatto che questi sono a diverse distanze da noi. Come la luce di una lampadina posta a centinaia di metri è praticamente impercettibile, così percepiremmo sempre più difficilmente la luce di una stessa stella posta a distanze sempre maggiori.
La magnitudine visuale del Sole è di circa -27, quella della Luna è di circa -13, della stella Vega (scelta come riferimento della scala) è circa 0, la galassia di Andromeda ha una magnitudine di 3.4, ecc. ecc. (immagine allegata). Vi sarete accorti che la scala delle magnitudini è scelta in modo tale che a valori più negativi vi corrisponda una maggiore luminosità, e permette di descrivere con piccoli numeri enormi variazioni di luminosità. Una differenza di 5 magnitudini tra due corpi celesti corrisponde ad un rapporto di luminosità pari a 100. Facciamo un esempio pratico: la quantità di luce che ci arriva dal Sole è circa 400000 volte quella che arriva dalla Luna ed 1 milione di milioni di volte quella che giunge dalla Galassia di Andromeda, a fronte di una differenza di poche unità o poche decine nel valore delle loro magnitudini.
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